L'Italia del sole
Finalmente, l'Italia

Terminato l'effetto sorpresa dovuto allo sbarco in Sicilia e all'armistizio stipulato dall'Italia, l'avanzata delle truppe alleate incontra una fiera resistenza tedesca sulla Linea Gustav. La guerra sarebbe stata ancora molto lunga.

Conclusa la guerra nel Nord Africa, gli Alleati si apprestano a invadere l'Italia. Il 10 luglio del 1943 gli Alleati sbarcano in Sicilia: due settimane dopo, il 25 luglio, il Re Vittorio Emanuele destituisce Mussolini, incaricando il maresciallo Badoglio di avviare trattative segrete per l'armistizio, stipulato con Eisenhower l'8 settembre 1943.

L'Italia del sole L'Italia è ora spaccata in due: da una parte lo Stato Italiano, governato dal re e da Badoglio nel sud della penisola; dall'altra la neonata Repubblica Sociale Italiana, guidata da Mussolini, sotto il diretto controllo tedesco. L'esercito italiano, in assenza di ordini precisi, sbanda e gli Alleati riescono a sbarcare senza quasi incontrare resistenza a Salerno e a Taranto: si formano così due colonne, che tentano di risalire la penisola lungo le coste adriatica e tirrenica.

Anche i volontari dell'AFS, che in Italia saranno divisi in quattro plotoni, raggiungono le coste italiane. I plotoni A e B sbarcano a Salerno il 6 ottobre 1943 e si dirigono subito su Napoli, che era stata appena liberata: la città di Napoli sarà il primo teatro operativo per i volontari ambulanzieri, sia perché si trova a poca distanza dal fronte sia perché verrà sottoposta ai bombardamenti Tedeschi fino alla primavera del 1944. Requisita un villa in via Tasso, l'AFS vi stabilì la sede operativa, poi trasformata in convalescenziario: insieme alla Villa Le Querci a Firenze, in viale Michelangelo, divenuta sede dell'AFS dopo la liberazione della città, rimase nel cuore e nella memoria di molti ambulanzieri.

L'Italia del sole Terminato l'effetto sorpresa, l'avanzata degli Alleati viene frenata sia dai corpi speciali Tedeschi provenienti in forze dai Balcani sia dall'arrivo dell'inverno. I Tedeschi si riorganizzano intorno alla Linea Gustav: una linea fortificata che va dalla foce del Garigliano, al confine tra Lazio e Campania, fino a Ortona, sull'Adriatico, passando per Cassino. Un terreno impervio, che i Tedeschi imparano a sfruttare a loro vantaggio.

Gli Alleati e gli Ambulanzieri che li accompagnano vedono cadere a uno a uno pregiudizi radicati e facili speranze: la trionfale avanzata verso nord, accompagnata dagli evviva della gente, si trasforma in una estenuante guerra di posizione, combattuta in luoghi aspri e infidi; l'Italia, la terra del sole e del calore, si rivela un luogo freddo, dove piove quasi sempre e le strade si trasformano in torrenti di fango nei quali sprofondano tutti i mezzi militari, comprese le ambulanze.

L'Italia del sole I primi scontri importanti avvennero lungo il fiume Garigliano. Questa la descrizione del col. F.V. Allen, ufficiale di comando della 167 unità di ambulanzieri: «La battaglia del Garigliano si rivelò totalmente diversa da quella di El Alamein. Al posto della sabbia e del caldo, qui c'erano pioggia e freddo. Invece delle evacuazioni sulle lunghe piste del deserto, qui c'erano brevi e lenti percorsi su piste infide, col fango che arrivava sino all'asse dei veicoli».

L'ambulanziere P.B. Warren del Plotone A descrive una giornata tipica di quel periodo, all'inizio del 1944: «L'esperienza della nostra sezione era tipica del lavoro svolto dal Plotone: guidare 18 ore al giorno, spesso nel pieno di un attacco, attraverso sentieri fangosi, larghi a malapena per far passare due veicoli in senso opposto; restare presso le batterie di cannoni finché qualcuno veniva colpito e l'ufficiale medico sentenziava che "le ambulanze erano troppo preziose perché si rischiasse di perderle". Poi salire fino in cima, alle postazioni più lontane, stabilite per raccogliere i feriti lasciati dai barellieri. È stato in quel periodo, durante un attacco aereo, che l'ambulanza di C.S. Stewart è stata menzionata nel Bollettino Eighth Army News come "la prima macchina che si sia mai vista a Macchiagodena"».

Impossibilitati ad avanzare via terra, gli Alleati tentano uno sbarco sulla spiaggia di Anzio il 22 gennaio 1944: ancora una volta i Tedeschi sono presi alla sprovvista, ma le indecisioni del comando alleato si rivelano fatali e l'operazione si conclude con un mezzo fallimento. Bloccati a ridosso della costa, sotto il costante attacco dell'artiglieria tedesca, gli Alleati subiscono perdite ingenti.

«Prima non sapevo neppure cosa fosse, la paura», scrive E.O. Bowles, «intendo dire la paura in senso fisico. Si tratta di un'esperienza concreta, che rende insignificanti tutte le paure e le ansie di prima della guerra. Non è paura della morte o di qualcosa di tangibile: è semplicemente paura. Tutti qui abbiamo paura e non è un'emozione di cui vergognarsi. Il coraggio, dopo tutto, non consiste nell'assenza di paura, ma nella capacità di tener duro e fare il tuo dovere anche quando riesci a malapena a stringere il volante della tua ambulanza».

L'Italia del sole Questi volontari, fragili e impauriti, svolgono un servizio straordinario. Ecco la testimonianza del Maggiore W.J. Abel, ufficiale medico dell'esercito britannico: «La maggior parte di questi uomini non erano mai stati in azione prima, e nessun uomo ha guadagnato più meritatamente il nostro rispetto. Penso che l'aspetto più piacevole sia stato il clima di amicizia e cameratismo che ne è nato. Noi avevamo un piccolo MDS (Main Dressing Station, n.d.R.) in un acquitrino, circondato dalle armi da fuoco e sotto il costante tiro dell'artiglieria nemica. Nelle prime fasi non c'era tempo di scavare trincee e la vita era tutt'altro che rosea. I nostri amici - io li definisco così - erano sempre allegri e svolgevano il loro servizio nelle condizioni più impegnative a faticose. Mi viene in mente uno di loro, che era un filosofo. Avevo l'abitudine di fare delle visite al nostro CCP (Casualty Clearing Post, n.d.R.), che si trovava sotto il tiro costante dell'artiglieria, e lo trovavo seduto per terra a tener lezioni a un pubblico interessato, scrivendo sulla sabbia. Questo era quel tipo di sangue freddo che destava in noi massima ammirazione».

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Montecassino

Sede della famosa abbazia fondata da San Benedetto, Montecassino è teatro della più sanguinosa battaglia di tutta la guerra sul suolo italiano. Gli orrori di quei mesi sono rimasti profondamente impressi nella memoria degli ambulanzieri.

Fallito lo sbarco ad Anzio, l'unica possibilità di superare la Linea Gustav via terra era data dall'attraversamento della valle del Liri, affluente del Garigliano: l'entrata della valle è sorvegliata da Montecassino.

Storicamente, quella posizione era considerata imprendibile: alto 520 metri, Montecassino sovrasta la piana circostante con la sua mole rozza e scoscesa. Il Monastero benedettino si trova sulla cima dello sperone più alto, è stato fortificato dai Tedeschi e domina tutta l'area di battaglia: da lassù lo sguardo, nei giorni di sole, raggiunge persino il mare.

All'inizio del febbraio 1944 la Quinta Armata concentra i suoi sforzi in un'area di venti km2 intorno a Montecassino, considerato la chiave per arrivare a Roma. Il febbraio del 1944 è eccezionalmente piovoso: a quote basse le strade diventano fiumi di fango - «il più spesso che io abbia mai visto», scrive G. B. Schley III; sulle vette appenniniche, la pioggia diventa neve e le strade gelate rendono ancor più difficile il percorso per uomini e mezzi.

L'Italia del sole Sul territorio italiano, la battaglia di Montecassino è stata la più lunga e sanguinosa dell'intera guerra, caratterizzata anche dalle inaudite violenze subite dalla popolazione civile. Si ricordano quattro attacchi principali, dal 12 gennaio fino al 19 maggio del 1944: gli Alleati vi persero oltre 100.000 uomini; le truppe dell'Asse, soprattutto Tedeschi, ma anche 1.500 italiani della RSI, subirono 20.000 morti. Durante la seconda battaglia di Montecassino gli Alleati rasero a suolo l'abbazia benedettina, fondata da San Benedetto nel 529, con uno spaventoso bombardamento aereo.

Dopo la vittoria, si ritiene che un generale francese abbia concesso ai feroci Goumier, marocchini di etnia berbera, che costituivano le truppe coloniali irregolari francesi, il diritto di preda: i saccheggi e gli stupri di massa che ne seguirono, definiti «marocchinate», sono uno dei capitoli più gravi e dimenticati della nostra storia recente. I volontari dell'AFS hanno davvero poco in comune con questi sanguinari montanari dell'Atlante: qualcuno ne ammira la bravura e li descrive come «fiere truppe arabe armati di lunghi coltelli e con addosso costumi che sembrano camicie da notte».

A Montecassino i volontari dell'AFS sono in prima linea e lavorano nuovamente con i Neozelandesi: per quattro mesi, ogni giorno, si contano circa 60 soldati feriti. Il servizio si svolge in condizioni terribili. Questa è la testimonianza del col. H.J.R. Thorne: «Il percorso di evacuazione dei feriti fino al MDS - una distanza di 4 o 5 miglia - fiancheggiava il fiume Rapido (e passava intorno, molto vicino, a Cassino tenuto dai Tedeschi). La strada era pianeggiante, esposta e, con i Tedeschi posizionati sul Monte Cairo e nella famosa abbazia di Montecassino, completamente sotto tiro. Il tragitto era inquietante - sembrava di sentirsi nudi - perché ogni metro percorso lungo tutta la strada veniva osservato da innumerevoli paia di occhi nemici. Molti degli autisti dell'AFS ricorderanno su quella strada il windy corner: una svolta della strada particolarmente ventosa dove tu giravi sul ponte sopra il Rapido e che era oggetto di malsane attenzioni da parte dei nemici. Più di un ufficiale passando a tutta velocità attorno a quest'angolo ha perso il suo berretto per un colpo di vento - ma ha deciso senza esitazioni che era molto più saggio comperarne un altro che recuperare quello perduto. Il viaggio di notte, con la strada ingombra dai muli e altri trasporti e costantemente martellata al buio dagli artiglieri Tedeschi (che erano ovviamente al corrente di tutto quel passaggio) era un vero incubo».

L'Italia del sole Il servizio a Montecassino fu una esperienza sconvolgente per alcuni. Più volte, quasi con le stesse parole, l'ambulanziere Jock Cobb ha affermato di non ricordare più nulla: «Non ho fotografie e quasi nessun ricordo della battaglia di Montecassino. Presumibilmente, le cose che ho visto erano troppo orribili perché ne potessi rendere testimonianza». Altri, come L.M. Allen, ne conservano ricordi che rievocano la forte impressione subita in quei momenti:

«I Tedeschi ... dalle loro posizioni su Montecassino e Monte Cairo potevano vedere tutta la valle e il territorio circostante che era sotto il nostro controllo. Di conseguenza, era quasi impossibile muoversi intorno alla città durante il giorno. È un dato di fatto: durante le prime fasi della battaglia, le nostre ambulanze erano gli unici veicoli a utilizzare quella strada. Era uno strano percorso, dato che il nostro ospedale era in realtà a nord della città e ci toccava guidare proprio sotto Cassino e il monastero mentre erano ancora in mano ai Tedeschi.

I cosiddetti smoke pots - schermi di fumo artificiale - sono stati posizionati in vari punti lungo la strada per impedire la vista ai Tedeschi; oltre a questi, in generale, c'era una nebbia pesante sulla valle... mi dava l'impressione di guidare attraverso un vero e proprio inferno, particolarmente a causa della sensazione di morte tutto intorno - un puzzo terrificante veniva dai muli morti lungo la strada, e forse anche da cadaveri (anche se non se e vedeva nessuno).

Lungo la strada c'erano anche carri armati distrutti e altri veicoli, e sempre il fischio dei proiettili di artiglieria. Nello stesso tempo, provavo un gran senso di solitudine, dato che non si vedeva mai nessuno lungo la strada. Poi a volte la nebbia si alzava, e la mole del monastero ne emergeva chiaramente... sembrava così vicino che potevi quasi immaginare di vedere i Tedeschi al suo interno. In questi momenti, per qualche strano motivo psicologico, io come molti degli altri abbiamo dovuto quasi costringerci a levare lo sguardo in alto verso la città e la collina, perché io volevo solo guardare la strada. Ora... la città non è più una città, ma una fossa comune ricoperta di macerie. Ogni centimetro di terra è sventrato».

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L'ultimo sforzo

Favoriti dal clima e dalle caratteristiche del territorio i Tedeschi, pur avendo perduto Roma, riescono a riorganizzarsi sulla Linea Gotica, dove resistono fino a maggio del 1945. Durante l'inverno, fra gli Ambulanzieri prevalgono lo sconforto e la delusione.

Dopo la battaglia di Montecassino e lo sbarco ad Anzio gli Alleati riescono a prendere Roma il 4 giugno del 1944: fra gli Ambulanzieri e fra i soldati c'è ottimismo. Sull'Italia splende il sole, Roma è finalmente caduta e le notizie dagli altri fronti sono buone: i Russi stanno contrattaccando e gli Alleati sono sbarcati in Normandia, pronti a portare la guerra in Germania.

Proprio come l'anno prima, tale ottimismo si rivelerà ingiustificato. Le truppe tedesche, guidate con acume dal generale Kesselring, hanno subito ingenti perdite, ma si riorganizzano rapidamente lungo la Linea Gotica, che si stende da Massa a Pesaro, passando attraverso gli Appennini.

L'attacco alla Linea Gotica doveva essere condotto in fretta: per evitare che, all'arrivo dell'autunno e delle piogge, i Tedeschi riuscissero a replicare la resistenza dell'anno precedente sulla Linea Gustav. L'operazione "Olive" era cominciata alla fine di agosto: però, nonostante la sorpresa iniziale e la caduta di Urbino, Fano e Pesaro, gli Alleati non riescono a sfondare.

L'Italia del sole Il freddo crescente e il cattivo tempo bloccarono di fatto le operazioni, per mesi interi. La guerra si stava decidendo altrove, nel cuore dell'Europa, dove la Germania, ormai accerchiata, stava lottando con tutte le forze per la sua stessa sopravvivenza.

L'ultimo inverno di guerra non fu facile per gli ambulanzieri: gli uomini erano stanchi e i mezzi ormai inadeguati. I ragazzi svolgono il proprio lavoro con il consueto impegno, ma si avvertono stanchezza e sfiducia. Le montagne erano diverse e il nemico ancor più disperato. Ma a parte questo, gli Ambulanzieri hanno la sensazione di ripetere la durissima esperienza dell'anno precendente. Questa la testimonianza di A.Y. Davis:

L'Italia del sole «Sembra di essere tornati indietro nel tempo, a vedere le stesse facce pallide e le stesse bende sporche, il che non solo nega la civiltà ma sembra combatterla con tutte le forze. Non sono sorpreso di scrivere queste righe. Il tono sembra depresso e morboso. In realtà, è solo la sensazione che tutta la faccenda abbia compiuto il suo ciclo e che ci troviamo di nuovo nella fangosa collina dove abbiamo combattuto lo scorso inverno - e dopo essere tornati al punto di partenza tutto sembra abbastanza inutile. I tuoi amici si gettano in mezzo agli spari, nel rumore; il tuo dolore è duro e senza lacrime, l'unica speranza è pensare a qualche evento specifico e dire che "ha contribuito a rendere questo attacco un successo". Guardi allora una collinetta o un fiumiciattolo oppure un pezzo di strada: e ti domandi se ci sia stato qualche successo per essere arrivati fino a lì».

Dopo mesi di stallo, gli scontri in Italia riprendono nella primavera del 1945: la resistenza tedesca, accanita quanto inutile, si protrae fino al 2 maggio, quando la Germania dichiara la resa incondizionata. Mussolini, catturato dai partigiani mentre tenta di fuggire in Svizzera, viene fucilato il 28 aprile. Anche in Italia la guerra è finita.

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Jock Cobb, ambulanziere e fotografo

L'Italia del sole Volontario dell'AFS e fotografo accreditato dall'esercito inglese, Cobb ha raccolto una mole impressionante di fotografie, alcune delle quali sono state pubblicate recentemente nel libro illustrato Fragments of peace in a world of war.

In una calda giornata di luglio del 2009, John Candler ("Jock") Cobb, novant'anni suonati, inizia con il suo amico ed editore Renny Russell un viaggio nel tempo e nella memoria. Davanti a loro hanno gli ingrandimenti, accompagnati da didascalie a penna, delle centinaia di foto che Cobb ha scattato più di sessant'anni prima durante il suo servizio di ambulanziere dell'AFS.

La memoria, per tanti anni sopita dalla brillante carriera medica intrapresa dopo la guerra, dalle cure per la famiglia e i figli, torna a farsi viva e concreta: mentre osserva gli ingrandimenti, ci dice il suo editore Renny Russell, Cobb viene preso da forti emozioni; e pur avendo ottenuto menzioni d'onore per il servizio svolto, afferma di non riuscire a ricordare. L'Italia del sole

Frutto di quell'incontro è un libro illustrato, intitolato Fragments of peace in a world of war, dove le singole fotografie sono accompagnate da brevi frammenti poetici: l'intento è mostrare nel concreto l'inimmaginabile crudeltà della guerra e la sua lucida follia.

L'Italia del sole Per sapere qualcosa su Cobb dobbiamo rivolgerci allora a Charles P. Edwards, anch'egli ambulanziere dell'AFS. Il suo libro di memorie, An AFS Driver Remembers (uscito nel 2000 in una edizione privata), dedica a Jock pagine commoventi. Amici di infanzia, entrambi scelgono l'obiezione di coscienza e si arruolano volontari nell'AFS. Partiti insieme dagli Stati Uniti, i due condividono il servizio da Port Toufiq in Egitto dal 31 ottobre 1942 fino all'aprile del 1944, trascorrendo mesi in Medio Oriente, Nord Africa e Italia, finché Jock rientra negli Stati Uniti per una convalescenza e comincia la sua carriera universitaria nella facoltà di medicina di Harvard.

L'Italia del sole Dotato di un carattere calmo e determinato, Cobb è capace di svolgere con precisione i compiti assegnati anche nelle situazioni più frenetiche: solo così si può spiegare in che modo sia riuscito a documentare, attraverso centinaia di foto, numerose fasi del suo servizio. Essere fotografo durante la guerra non è cosa facile: e Cobb tiene a precisare che fra gennaio e marzo del 1943 aveva chiesto e ottenuto il permesso di scattare fotografie. Fotografie che la censura militare non poté mai vedere: dato che le sviluppava lui stesso nel retro della sua ambulanza, sottraendo il poco tempo libero al sonno.

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Jock Cobb in Italia

La documentazione fotografica raccolta da Cobb in Italia rivela emozioni e sentimenti profondi, frutto della sua sensibilità e del grande amore provato per la gente e i luoghi del nostro paese.

L'Italia del sole Di tutta la collezione di Cobb, le fotografie scattate in Italia rivelano l'intensità maggiore. Gli effetti della guerra sono osservati con partecipazione, che va ben oltre il semplice valore documentario. La guerra porta distruzioni materiali evidenti: ma ha soprattutto la capacità di spezzare improvvisamente la vita di una persona o di segnarla per sempre. A San Vito una foto ritrae un ragazzino, seduto sulla sponda di un camion. Indossa scarpe militari troppo grandi e la giacca dell'uniforme di suo padre, caduto in guerra. La fierezza dello sguardo rivela una maturità e una consapevolezza che contrasta con le ginocchia infantili.

L'Italia del sole La guerra colpisce senza preavviso: un gruppo di soldati inglesi, cancellati da un colpo di mortaio mentre bevono il té e leggono la corrispondenza; il povero "Preb", Vern Preble, la cui ambulanza finisce su una mina, mentre era in servizio. Nella sequenza delle fotografie lo vediamo sorseggiare una bevanda nel deserto, pochi mesi prima della tomba (immagini 4 e 5). Edwards ricorda in una poesia la sua giovinezza, il suo spirito e il legame che aveva con la sua ambulanza: «Un'ambulanza in guerra / è parte di coloro che vi vivono, / procede su colline steppose e attraverso i fiumi / dove cadono le bombe. / E' come una cosa viva / che aiuta gli uomini feriti; / laddove gli uomini non possono essere salvati / talvolta muore. / La sua ambulanza non può andare senza di lui».

L'Italia del sole Il servizio è duro e impegnativo, ma vi sono anche momenti di riflessione e di pace interiore: come quando la sera si legge un buon libro o si scrivono lettere alla famiglia lontana.

In mezzo all'orrore, l'Italia sa offrire momenti sereni: ciò che Cobb documenta nelle foto trova riscontro nelle memorie di altri ambulanzieri. Pollutri, sulle colline in provincia di Chieti, è un'isola di quiete e in certi momenti sembra quasi che la guerra non esista, di trovarsi in una sorta di edenico Shangri-La. In queste righe, l'ambulanziere F. B. Cliffe non descrive Pollutri, ma Monte Camino, vicino a Caserta. Forse le sensazioni erano simili: L'Italia del sole

«Nelle notti di luna, ogni cosa sembra trasformarsi. Particolarmente suggestivo è quel momento che precede di poco il crepuscolo. La piccola valle si trasforma in un luogo mistico, quasi sacro. La nebbia si posa lentamente, dolcemente, sui punti più bassi. Una fattoria nelle vicinanze della vallata - i suoi contorni cancellati dall'oscurità - diventa un castello delle fiabe. L'ultima luce del tramonto si spegne e presto è sostituita dal sorgere della luna. La valle attende tranquilla. Si leva la luna, immerge la valle nella sua mistica luce, formando strane zone d'ombra. La tua mente vaga lontano. Questa zona non è più un posto dove gli uomini accettano folli regole per uccidere altri uomini: e tu sei convinto, come in un sogno, che questa parte del mondo sia la realtà. Ti senti perduto, deluso e soddisfatto nello stesso tempo». L'Italia del sole

Gli incontri fra gli ambulanzieri e la popolazione locale sembrano appagare un bisogno reciproco. Scrive Cobb, commentando una sua fotografia: «Noi, così lontano da casa, / avevamo bisogno di loro, e loro di noi / per scacciare le tenebre della guerra». A Pollutri e Casoli gli incontri interculturali sono profondi, danno coraggio e serenità, scaldano il cuore. Per stare insieme, si organizzano anche lezioni di italiano. L'Italia del sole

Nascono anche degli amori: alcuni felici, altri sfortunati, come è giusto che sia in una vita normale. Charles P. Edwards, il 3 agosto del 1944, sposa a Lanciano Licia Sargiacomo, la sua «beloved mogliettina Licia». L'ambulanziere franco-americano Pierre Bourdelle, figlio d'arte e grande artista lui stesso - racconta Edwards - si innamorò invece di Francesca Ricci, una delle belle figlie del barone di Casoli. Un amore che però non venne corrisposto. Cobb accompagna la fotografia di Francesca con queste parole: «in cima al suo castello / primo fiore del buio inverno di guerra / nato in disparte, ci ha incantati tutti». Il suo sorriso è come la luce del sole dopo tanto freddo e tanta pioggia.

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Salvare il patrimonio culturale

Persone colte e sensibili, gli Ambulanzieri dell'AFS non restano indifferenti alle spaventose distruzioni subite dal patrimonio architettonico e artistico italiano: due di loro, William Congdon e John Harkness tentano di rimediare in prima persona.

L'Italia del sole Il territorio italiano, divenuto zona di guerra dalla primavera del 1943 fino al maggio del 1945, presenta ai belligeranti il problema di assicurare la sopravvivenza del patrimonio culturale. Tanto i Tedeschi quanto gli Alleati sono sensibili al problema, ma la gravità del conflitto è tale che non sempre fu possibile evitare danni irreparabili: se, da una parte, si dice che i Tedeschi, in fuga da Firenze verso nord, ricevettero l'ordine di preservare Ponte Vecchio; dall'altra gli Alleati rasero al suolo l'abbazia di Montecassino con un bombardamento aereo, ma solo dopo essersi assicurati che i tesori in essa contenuti fossero stati trasportati altrove.

A Faenza e a Isernia, devastate dai bombardamenti, William Congdon e John Harkness decidono di darsi da fare per curare le ferite subite dal patrimonio culturale.

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Wlliam Congdon a Faenza

A Faenza, capitale mondiale della ceramica, Congdon organizza una raccolta fondi per la ricostruzione del Museo Internazionale della Ceramica e delle numerose manifatture distrutte dai bombardamenti.

Originario di Providence, Rhode Island, William Congdon nasce il 15 aprile del 1912 da una famiglia facoltosa di origine protestante. Dotato di animo sensibile e portato all'arte può dedicarsi, grazie al sostegno della famiglia, agli studi di pittura. Dopo aver intrapreso numerosi viaggi in Europa (tra cui un soggiorno a Venezia) e aver aperto un proprio studio di pittura a Lakeville, nel Connecticut, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Congdon si offre volontario nell'American Field Service nel 1942.

L'Italia del sole Il suo stato di servizio è ricco di esperienze e di onori: inizia nel Nord Africa, culminando nella battaglia d El Alamein; continua in Italia, dove viene decorato per il servizio prestato in soccorso alle truppe polacche; finisce con un mese nell'inferno di Bergen Belsen. Le esperienze maturate durante la guerra sono di grande stimolo per la sua futura carriera artistica, che lo porterà ad essere equiparato ai grandi della pittura contemporanea.

Dopo la presa di Faenza da parte degli Alleati il 17 dicembre del 1944, Congdon viene incaricato di assistere la popolazione civile: benché Faenza si trovasse a pochi chilometri dalla zona dei combattimenti, vi si era rifugiata una notevole quantità di civili, circa 8.000, che avevano bisogno di tutto. Congdon svolge per diversi mesi il suo compito, collaborando con la Croce Rossa e i medici locali.

A seguito dei pesanti bombardamenti, il 13 maggio del 1944 il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza viene quasi completamente distrutto e le collezioni irreparabilmemente danneggiate. Distrutta è anche tutta la rete delle manifatture artigiane. Sentendosi in dovere di fare qualcosa anche da quel punto di vista, Congdon raccoglie l'appello del direttore del museo, Gaetano Ballardini, e si mette al lavoro: scava nelle macerie alla ricerca di reperti; acquista a proprie spese ceramiche artistiche e infine allestisce una mostra. Il ricavato permetterà alla città e al museo di ripartire.

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1 Immagine tratta da studi della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, Soprintendenza per i Beni Storico Artistici ed Etnoantropologici del Molise, Soprintendenza Architettonica e Paesaggistica del Molise, .... ma quello è... Bill..!?, giugno 2014.

La ricostruzione di Isernia

L'architetto John Cheesman Harkness, destinato a grande celebrità nel dopoguerra, porta a termine un accurato piano di ricostruzione di Isernia, distrutta dai bombardamenti alleati.

Pochi mesi prima, nel giugno del 1944, Congdon si trova a Isernia. La città, duramente bombardata dagli Alleati, è stata quasi completamente distrutta. In una lettera ai suoi genitori parla del suo incontro con l'architetto J.C. Harkness, anche lui ambulanziere dell'AFS, che sta redigendo dei piani per la ricostruzione della città.

L'Italia del sole John Cheesman Harkness, Chip per gli amici, non è uno qualunque. Nato nel 1916, figlio d'arte, si laurea in architettura alla Harvard School of Design nel 1941 con Walter Gropius, uno dei massimi architetti dell'epoca, fondatore del Bauhaus. La celebrità avrebbe raggiunto Harkness nel dopoguerra: intanto, nel 1944, si trova a Isernia e - dato che sono state le bombe degli Alleati a ridurla a un cumulo di macerie - si sente in dovere di collaborare alla ricostruzione.

Congdon, che disegnò per l'amico architetto alcune tavole, lo descrive mentre, dotato dei ferri del mestiere, si aggira fra le macerie e interroga la popolazione. Il Progetto di ricostruzione di Isernia viene effettivamente portato a termine e pubblicato in un numero della rivista Architectural Forum, apparso nell'marzo del 1945. L'articolo si intitola Planning with you e occupa le pp. 107-111. L'Italia del sole

Vero discepolo di Gropius, che amava lavorare in team, Harkness non lavora da solo: ma cerca la collaborazione degli architetti locali, in particolare di Giuseppe Tarra 1, ingegnere laureato e titolare di uno studio di architetti. Il piano di ricostruzione di Isernia sviluppato da Harkness poggia su una logica ben definita, orientata al rispetto delle tradizioni locali e allo sfruttamento massimo delle risorse naturali:

  • La parte centrale della città, completamente cancellata dai bombardamenti, avrebbe lasciato ampio spazio alla piazza del mercato, centro della vita economica della cittadina: il mercato non avrebbe quindi più avuto luogo nella piazza della cattedrale, congestionata dall'afflusso di mezzi e di merci e priva di spazi adeguati.
  • le case sarebbero state ricostruite puntando sullo sfruttamento massimo del sole, per ricavare il massimo possibile di luce e di calore attraverso ampie vetrate: il vetro, secondo Harkness, è un prodotto economico di molte parti d'Italia e non è innaturale immaginarlo impiegato in case a basso costo;
  • nelle abitazioni locali il camino è il centro della vita sociale della casa: le soluzioni di Harkness mantengono questa caratteristica specifica, sostituendo però le stanze anguste e buie con locali più grandi, dotati di ampie vetrate.

L'Italia del sole Licenziando il suo articolo per la stampa Harkness auspicava che nella ricostruzione post-bellica fossero coinvolti anche architetti e costruttori americani: ma la storia avrebbe voluto diversamente e il piano di ricostruzione sarebbe stato affidato a un altro architetto, l'italiano David Gazzani.

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1 Da studi della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, Soprintendenza per i Beni Storico Artistici ed Etnoantropologici del Molise, Soprintendenza Architettonica e Paesaggistica del Molise, .... ma quello è... Bill..!?, giugno 2014.