Parole che contano
Tre discorsi

Tre presidenti degli Stati uniti in anni diversi e lontani fra loro salutano i borsisti AFS. La presenza dei giovani li sprona a evitare le formalità. Pronunciano parole dirette, spesso sincere: che raccontano più di quello che apparentemente dicono.

Dwight D. Eisenhower (1890-1969) è il Presidente di un'America forte e sicura di sé, che vuole essere certa che i giovani borsisti, ritornati nei loro paesi, abbiano una opinione positiva, e dunque corretta, degli Stati Uniti e dell'American Way of Life, per stimolare la comprensione e il dialogo fra persone di buona volontà. La convinzione sottintesa è che il modello americano sia buono: e che se tutto il mondo lo adottasse sarebbe migliore.

Quattro anni dopo, le parole di John Fitzgerald Kennedy (1917-1963) rivelano un'America molto diversa. Un'America che il Presidente definisce un cantiere aperto, conscia dei problemi sociali e politici, ma quasi ansiosa di misurarsi con le opinioni altrui. È un'America che sta ancora nascendo, che sarà cancellata neppure due anni dopo, il 22 novembre del 1963, quando Kennedy fu assassinato.

In qualità di governatore dell'Arkansas nel 1991, Bill Clinton (1946) rievoca i giorni che hanno preceduto lo scoppio della Prima Guerra del Golfo (1990-1991): e vede le cause di quella guerra nella totale incomprensione fra due popoli, i cui bambini ostentano cartelli con parole di odio che neppure comprendono. L'incontro interculturale è occasione di conoscenza reciproca: che produce la pace nel mondo e ha il risvolto importante di preparare i giovani americani alle sfide della globalizzazione economica.

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Parole che contano
Raggiungere una migliore comprensione

Nel luglio del 1957, in occasione del decimo anniversario dell'AFS International Scholarship Programs, il presidente Eisenhower si rivolge agli studenti radunati sul prato della Casa Bianca. Il loro anno negli Stati Uniti volge al termine e stanno per rientrare a casa:

Parole che contano «E' dal 1948 - forse ho mancato un anno, nel quale mi trovavo in Europa - che ho il privilegio di rivolgere il mio saluto a gruppi rappresentativi di studenti stranieri, ragazzi giovani radunati dall'American Field Service. La cosa più bella di tutta la manifestazione è che ogni anno il gruppo sembra diventare più numeroso.

Al giorno d'oggi io non conosco nulla di più utile del fatto che giovani appartenenti a diverse nazioni si rechino a visitarsi a vicenda. E voi avete avuto davvero l'opportunità di soggiornare presso di noi, perché avete abitato nelle nostre case e avete vissuto accanto a noi abbastanza a lungo per decidere in autonomia se la maggioranza di noi portano coda o corna oppure se apparteniamo al tipo medio di brave persone che vuole vivere e lavorare in modo produttivo, proprio come fanno altre brave persone.

Io penso che voi abbiate avuto non solo un'opportunità di grande valore, ma ritengo che quando rientrerete nelle vostre case abbiate la responsabilità di far conoscere nel modo più ampio possibile quali sono state le vostre impressioni su un altro paese nel quale voi, in questa occasione, avete avuto il privilegio di vivere.

Su questo punto particolare, lascerò spazio ai miei sentimenti. Credo di aver trascorso circa 13 anni della mia vita all'estero, in diversi paesi. Ritornando in patria da ognuno di questi viaggi ho sempre avuto la sensazione di aver imparato moltissimo, e sono quasi certo che questa sensazione è condivisa da ciascuno di voi, che siete qui questa mattina.

Parole che contano Io spero che i gruppi che verranno dopo di voi continueranno a crescere di ampiezza e che alla fine non sarà più una questione di 764 persone - io ammiro il Direttore [Galatti, N.d.T.] per la sua capacità di ricordare i numeri - ma di 7.000 e anche più. E che, a nostra volta, anche noi troveremo il modo di mandare i nostri ragazzi nelle vostre nazioni, per conoscervi, per riportare a casa una migliore comprensione delle vostre culture, delle vostre religioni, della vostra storia, delle vostre tradizioni, dei vostri desideri e delle vostre speranze: in modo che tutti noi possiamo essere un poco più saggi, un poco più comprensivi, nelle relazioni che abbiamo con tutto il mondo.

Così, quando affermo dal profondo del cuore che è un privilegio darvi il benvenuto qui nella Capitale della Nazione, lo intendo nel modo più sincero possibile. Io spero che vi troviate bene nella Capitale e che tornerete a casa con i più bei ricordi di questo nostro paese; spero anche che uno di questi giorni mi sia possibile incontrare almeno un piccolo gruppo di voi e parlare in dettaglio delle esperienze che avete fatto qui e dell'utilità che avete tratto da questo viaggio.

Dio vi benedica. Buona fortuna a tutti voi».

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La pace è come un ponte

Nell'estate del 1961 il Bus Trip fu uno dei più affollati di tutta la storia dell'AFS. I borsisti trasportati furono 1.827 e vennero utilizzati 54 bus della Greyhound. Nel giro di tre settimane i ragazzi visitarono 402 comunità in 45 stati. Il punto culminante del viaggio è come sempre la visita a Washington D.C. dove, il 13 luglio, il Presidente Kennedy rivolge la parola agli studenti sul prato antistante la Casa Bianca, preceduto dalla presentazione del Direttore dell'AFS, Stephen Galatti.

Parole che contano Stephen Galatti:

«Signor Presidente, posso presentarle 1.827 ragazzi e ragazze provenienti da 50 stati che hanno frequentato il liceo in questo paese e hanno vissuto con le loro famiglie la vita della comunità? Hanno portato con sé la loro cultura. Si sono fatti degli amici e hanno ricevuto dal nostro paese cura e amore. A nome di ciascuno di loro, le prometto che nessuno dimenticherà questo paese».

Il Presidente:

«Signore e Signori, voglio esprimere il nostro grande piacere nel darvi il benvenuto alla Casa Bianca. Ho appena appreso che voi avete portato qui con voi la vostra cultura. Non so se le vostre famiglie ne saranno contente o dispiaciute, ma guardandovi dall'alto io pensavo che voi foste 1.800 studenti americani in piedi sui gradini del prato della Casa Bianca. Vediamo un po' se riusciamo a vedere da dove venite. Voi che venite dall'Europa, potete alzare la mano? Poi tutti quelli che vengono dall'America Latina. Poi quanti venite dall'Africa. Poi quanti venite dall'Asia. E poi Australia e Nuova Zelanda. Poi gli Stati Uniti. E il Canada. E che ne è del Canada? Beh, quest'anno niente Canadesi !

Per prima cosa, voglio dirvi che io sono un grande ammiratore dell'American Field Service. Molti bravi ragazzi americani che io ho conosciuto si sono distinti nel servizio nei giorni della Seconda Guerra Mondiale e hanno mostrato - io credo - compassione, e certamente amicizia, a persone che stavano da tutte e due le parti. Ma la cosa più importante è che loro hanno imparato da questa esperienza una lezione fondamentale: ed è per questo, per il loro continuo interesse nel nostro paese e per la causa della pace, che voi siete qui. Parole che contano

Io spero che dalla vostra esperienza qui abbiate tratto anche voi utili insegnamenti: che non ci sono problemi semplici; che noi, qui negli Stati Uniti, guardando intorno al mondo a tante persone e a tante culture diverse, costruiamo nelle nostre menti stereotipi, pregiudizi, simpatie e affezioni; e sono sicuro che vi siete resi conto di quanto noi siamo lontani dalla capacità di comprendere davvero la vera vita dei vostri connazionali. Voi farete ritorno a casa, e troverete che la gente ha stereotipi, pregiudizi e idee proprie sugli Stati Uniti.

Il vostro futuro destino, lo spero, sarà quello di servire nell'interesse della pace, come un ponte fra le parti migliori del mio paese e dei vostri connazionali. Io spero che voi possiate partire da qui non solo come amici, ma che abbiate osservato i nostri difetti e compreso le nostre attività, e soprattutto ciò che stiamo cercando di fare e ciò che stiamo tentando di essere, e che voi riconosciate che questo paese è un cantiere ancora aperto. Noi vogliamo la vostra amicizia, e spero che voi, tutti e 1.800, siate il seme da cui nascerà una vita migliore per tutti i vostri connazionali.

Questa casa appartiene al popolo americano e noi siamo solo residenti temporanei. Ha ospitato un buon numero di Americani che, sono orgoglioso di dirlo, sono stati fonte di ispirazione per i vostri popoli - Washington, Jefferson, Lincoln, i Roosevelt, Wilson e molti altri. Noi ora occupiamo una posizione di responsabilità nei tempi più difficili, tutti noi. Perciò, una volta ancora, è per me un onore, come Presidente degli Stati Uniti, dare il benvenuto a voi, che forse nei mesi e negli anni che verranno sopporterete la grande responsabilità di essere leader nei vostri paesi. Mi auguro che un futuro Presidente degli Stati Uniti potrà salutare, fra qualche anno, un presidente o un primo ministro che nel luglio del 1961 si trovava qui, su questo prato, alla Casa Bianca.

Grazie».

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Un imperativo di pace

Il Presidente Bill Clinton si rivolge a un gruppo di studenti dell'AFS nel 1991, quando era Governatore dell'Arkansas. Successivamente, ha ripreso le sue note e ne ha fatto un articolo perché fosse pubblicato nell' AFS Magazine.

Parole che contano «Il 14 gennaio [1991], il giorno prima che gli Stati Uniti dichiarassero guerra all'Iraq, i telegiornali che riprendevano una manifestazione a sostegno delle nostre truppe, mostrarono un bambino di 5 o 6 anni, che sventolava uno striscione davanti alla cinepresa. C'era scritto: "Vediamo un po' se Allah vi aiuta adesso, negri della sabbia fotti-cammelli". Per motivi di bilanciamento, probabilmente, il servizio presentava spezzoni di una protesta anti-Americana a Baghdad. Altrettanto sconvolgenti erano le immagini di bambini delle elementari, radunati dai loro insegnanti, che reggevano cartelloni scritti in inglese. La scritta portata da una bambina recitava: "L'America è Satana".

I volti ingenui di entrambi i bambini contrastavano totalmente con i messaggi di odio issati da ciascuno di loro. È un tragico esempio che dimostra un concetto molto semplice: le culture arabe, nel migliore dei casi, hanno una conoscenza superficiale delle culture occidentali. E questa ignoranza, presso di noi, in Occidente, è più che reciproca. Questo è particolarmente vero per noi americani. Forse tutto questo dipende dal fatto che siamo una superpotenza isolata geograficamente. Ci sembra di credere di essere così autosufficienti, autodeterminati, e così forti da considerare l'apprendimento di altre lingue e il tentativo di comprendere altre culture come un aspetto educativo di scarsa rilevanza o riservato a pochi avventurosi. Non è né una cosa né l'altra. I Business Leaders, gli educatori e i miei colleghi governatori considerano l'apprendimento interculturale come qualcosa di più di un bell'extra. Per molti di noi è un punto fermo nel percorso educativo. È un imperativo di pace.

Parole che contano Chiaramente, dobbiamo fare un balzo in avanti nell'educare la nostra forza lavoro con le abilità necessarie per operare in modo produttivo nel mercato globale. Se non lo facciamo, la competitività americana continuerà a diminuire rispetto a quelle nazioni che si sono già mosse in questa direzione. Non ci basta avere i migliori produttori di beni. Abbiamo bisogno di individui che possano collocare e commerciare questi beni sul mercato internazionale nel migliore dei modi. Non possiamo permetterci di attendere: dobbiamo preparare i nostri giovani, la forza lavoro di domani, per la realtà globale che li attende.

Oltre alla competitività americana, dobbiamo acquisire una mentalità globale, perché la pace del mondo dipende dalla nostra abilità a comprendere e dialogare con i nostri vicini di tutto il mondo.

Lo scambio studentesco è un trampolino di lancio per aiutare gli americani a guadagnare una più profonda comprensione di altre culture e altri modi di vita. Nello stesso tempo, lo scambio di studenti ci offre l'occasione di condividere il calore dell'America, i nostri valori nazionali e la forza delle nostre famiglie.

Per definizione, lo scambio studentesco è una strada a doppio senso. Noi invitiamo studenti da fuori per condividere e apprendere il nostro modo di divere, mentre veniamo a conoscenza dei loro. Dando ospitalità agli studenti stranieri, le famiglie americane portano risorse culturali vive e vitali nelle nostre scuole e nelle nostre comunità. Questo semplice atto di ospitalità cambia il modo di pensare di una nazione.»

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